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La scoperta fortuita, nel caos del suo archivio personale, di un diario di viaggio scritto quasi trent'anni prima: è questa la molla - un misto di desiderio e rimorso - che spinge Adele Cambria a chiedersi perché avesse lasciato passare tanto tempo "senza Istanbul". Da qui l'urgenza di partire di nuovo, dopo quel lontano settembre 1983... È dunque un doppio viaggio quello che l'autrice compie in queste pagine, con uno sguardo all'indietro sulla Istanbul di allora e gli occhi puntati sulla Istanbul dei giorni nostri. Questa volta, oltre all'inseparabile taccuino, Adele Cambria si fa accompagnare da tre scrittori, o meglio "descrittori": Edmondo De Amicis, Pierre Loti e Orhan Pamuk. Se De Amicis è un magnifico cronista, e non si può partire per Istanbul senza portarselo in tasca, allo stesso modo non si possono non leggere le pagine di Loti, che fece della Turchia la sua seconda patria, assimilandone i comportamenti, indossandone gli abiti, e, infine, nutrendo un grande amore impossibile per una giovinetta circassa. E poi Pamuk, con il suo sguardo "alla rovescia", il suo conflitto irrisolto con la storia del proprio paese e la sua diffidenza nei confronti dei viaggiatori occidentali, eccetto De Amicis... Ne sortisce un diario all'insegna della migliore "letteratura di viaggio", che oggi, assediata dal turismo di massa, tenta di difendersi e di recuperare il piacere e la verità dello sguardo.